Ceroni e democrazie
di Elena Ronco
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Il pidielle Ceroni ha presentato una proposta di legge per cambiare l’articolo 1 della Costituzione. Oltre che sul lavoro (quando c’è), l’Italia diventerebbe una Repubblica fondata «sulla centralità del Parlamento» e quindi del governo, che salirebbe di un gradino nella scala del potere, guardando dall’alto il Capo dello Stato e la Corte Costituzionale. Sbaglieremmo a liquidare la democrazia secondo Ceroni come un esercizio di folklore. Dietro quella proposta c’è un sentimento diffuso: il bisogno di essere governati. Ma ne affiora anche un altro meno nobile: il disgusto non solo per i politici, ma per la politica in sé, che è l’arte estenuante e indispensabile del compromesso, come ben sa chiunque sia sopravvissuto a un’assemblea di condominio.
La democrazia rappresentativa, nella quale abitiamo non così infelicemente da oltre mezzo secolo, si fonda su tre pilastri. Il suffragio universale, il primato della Costituzione e la separazione dei poteri, cioè quel gioco di pesi e contrappesi in base al quale persino Obama, l’uomo più potente del mondo, non può aumentare le tasse ai ricchi perché il Congresso a maggioranza repubblicana glielo impedisce, ed entrambi, Presidente e Congresso, devono poi vedersela con la Corte Suprema. Se il suffragio universale abbatte gli altri due pilastri e chi vince le elezioni può fare quel che gli pare, la democrazia si trasforma in una cosa diversa: la dittatura parlamentare. Un nome troppo lungo e infatti dopo un po’ finisce sempre per accorciarselo. Facendosi chiamare dittatura.
Massimo Gramellini
dal Buongiorno di LASTAMPA del 21/04/2011