Eddie Kramer contro il mito Woodstock: "Non fu l'inizio proprio di nulla. Fu un incubo"
Eddie Kramer non
è l'ultimo arrivato, né tantomeno può esser definito perbenista o
bacchettone. Come produttore ha lavorato coi più grandi, dai The Beatles ai Rolling Stones fino all'intramontabile Jimi Hendrix, di cui era grandissimo amico. Sentire da lui i termini "incubo" e "schifo" riferiti alla leggendaria tre giorni di Woodstock è piuttosto strano in un primo momento.
"Tre giorni di droga e fango: Woodstock è stato un incubo! Ero stato incaricato di registrare su nastro tutto quello che accadeva sul palco. 'Gran bel lavoro' pensai, ma quando ti accorgi di essere l'unico essere umano lucido in mezzo a mezzo milione di strafatti, le cose diventano difficili" ha affermato lo storico produttore, raccontando anche aneddoti apparentemente divertenti, ma che, per chi come lui avrebbe dovuto lavorare seriamente perché tutto filasse lisco, erano davvero surreali ed atroci: "Erano tutti completamente fuori, artisti, manager, staff, uomini della sicurezza, tutti. Ricordo un mixer in fiamme ed un gruppo di tecnici strafatti di LSD ci ballava intorno. Chiesi 'Ma nessuno ha intenzione di spegnerlo?', ma ebbi come risposta 'Noi non rubiamo il lavoro alle nuvole'.".
Il produttore definisce Woodstock come "un caso eccezionale di perdita collettiva di controllo", dove neppure gli artisti rispettavano le scalette e le tempistiche, drogandosi in continuazione e improvvisando "alcuni con risultati geniali, altri facendo un disastro osceno".
Più che l'inizio di qualcosa di storico, secondo Kramer Woodstock è da considerarsi la fine di un'era: "Quando Jimi [Hendrix] suonò per ultimo, con cinque ore di ritardo, all'alba del lunedì [...], quando suonò l'ultima nota della sua esibizione, pensai 'Credo sia davvero finita', riferendomi non tanto al concerto, ma ad un'era. [...] Woodstock non è stato l'inizio proprio di nulla, quanto piuttosto la porta dietro cui sono rimasti rinchiusi gli ideali e le utopie degli anni Sessanta.
"Tre giorni di droga e fango: Woodstock è stato un incubo! Ero stato incaricato di registrare su nastro tutto quello che accadeva sul palco. 'Gran bel lavoro' pensai, ma quando ti accorgi di essere l'unico essere umano lucido in mezzo a mezzo milione di strafatti, le cose diventano difficili" ha affermato lo storico produttore, raccontando anche aneddoti apparentemente divertenti, ma che, per chi come lui avrebbe dovuto lavorare seriamente perché tutto filasse lisco, erano davvero surreali ed atroci: "Erano tutti completamente fuori, artisti, manager, staff, uomini della sicurezza, tutti. Ricordo un mixer in fiamme ed un gruppo di tecnici strafatti di LSD ci ballava intorno. Chiesi 'Ma nessuno ha intenzione di spegnerlo?', ma ebbi come risposta 'Noi non rubiamo il lavoro alle nuvole'.".
Il produttore definisce Woodstock come "un caso eccezionale di perdita collettiva di controllo", dove neppure gli artisti rispettavano le scalette e le tempistiche, drogandosi in continuazione e improvvisando "alcuni con risultati geniali, altri facendo un disastro osceno".
Più che l'inizio di qualcosa di storico, secondo Kramer Woodstock è da considerarsi la fine di un'era: "Quando Jimi [Hendrix] suonò per ultimo, con cinque ore di ritardo, all'alba del lunedì [...], quando suonò l'ultima nota della sua esibizione, pensai 'Credo sia davvero finita', riferendomi non tanto al concerto, ma ad un'era. [...] Woodstock non è stato l'inizio proprio di nulla, quanto piuttosto la porta dietro cui sono rimasti rinchiusi gli ideali e le utopie degli anni Sessanta.
Folla e artisti in preda alla follia,
escrementi e musica epocale. Che il produttore registrò da solo, nel
fango, contro tutti e tutto
Non era un
dilettante allo sbaraglio, e nemmeno un tecnico del suono improvvisato,
Kramer, ma il produttore più autorevole dell’epoca. Aveva lavorato con i
Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin, era il braccio destro di Jimi Hendrix.
"Jimi suonò per ultimo, con cinque ore di ritardo, all’alba di lunedì.
Per stare sveglio mi feci da solo due iniezioni di vitamina B
procurandomi altrettanti lividi enormi sui glutei. A quel punto non
riuscivo più nemmeno a sedermi. Quando Jimi suonò l’ultima nota del suo
show, pensai: forse è davvero finita. Non mi riferivo solo al concerto,
ma a un’era. Quella folla stravolta che vagava verso l’uscita con i
piedi immersi nel fango e negli escrementi era un simbolo. Woodstock non
è stato l’inizio di un bel niente, ma la porta dietro cui sono rimasti
sepolti gli ideali e le utopie degli anni Sessanta".
Di quella tre
giorni Kramer ha salvato, con i suoi registratori a bobine, la cosa più
preziosa da salvare: la musica. "Voglio andare oltre il dato artistico,
Woodstock fu un caso eccezionale di perdita collettiva di controllo.
Nessun artista fece sul palco quel che era previsto. Tutti flirtarono
con la pazzia improvvisando a caso, alcuni con risultati geniali, altri
facendo pena" ricorda Kramer. "Ne sono certo, fu una reazione inconscia
per entrare in sintonia con l’anarchia e le allucinazioni psichedeliche
della folla. Quando, a partire dal secondo giorno, tutti iniziarono a
girare nudi, fu un corto circuito: gli artisti con i loro jeans e i
giubbotti di pelle non erano più un’avanguardia, ma borghesi antiquati,
magari dotati pure di mutande. Le icone della trasgressione erano
diventate obsolete. E la massa dettava la linea. Che paura".
Eroe
di Woodstock, Kramer era stato avvicinato un paio d’anni prima della
rassegna da un tecnico dei Beatles: "Volevano sperimentare il sound del
mio studio londinese. Arrivarono alle 2 di notte per incidere All you need is love.
Prima di iniziare gli uomini del loro staff piazzarono maniacalmente
decine e decine di microfoni in ogni angolo della sala d’incisione. Mi
sembravano folli, non l’avevo mai visto fare prima, io di solito ne
usavo tre o quattro. Ma avevano maledettamente ragione: era quello il
segreto mai svelato del loro sound, catturare da angolazioni diverse
ogni sfumatura della musica e delle voci. Non hanno mai avuto rivali
perché erano troppo avanti" sostiene Kramer, in Italia per presentare
una nuova serie di minipedali per chitarra (F-Pedals, di cui esiste una
serie firmata Kramer) realizzata con l’amico musicista Francesco Sondelli.
Anche
se lui non ne parla spesso, Kramer è di fatto il custode unico di tutto
quello che Hendrix ha inciso nella sua breve vita. Il produttore
americano cura infatti da decenni le pubblicazioni del materiale inedito
del più grande chitarrista di tutti i tempi. Il business del morto che
canta, verrebbe da dire cinicamente. "No, no, almeno non per me. Ho
ricevuto l’incarico dalla sua famiglia ed è l’unico impegno
professionale che mi strazia dal punto di vista emotivo. Eravamo amici
nel senso più puro del termine. Vivevamo chiusi in sala d’incisione a
registrare ore e ore di musica bellissima. Se non se ne fosse andato,
sarebbe diventato anche un’icona del jazz, però non ne ha avuto il
tempo" racconta. "Per contratto, questo lavoro di recupero e restauro
del vecchio materiale di Jimi lo devo fare in totale solitudine e
segretezza: io, il mixer e le bobine dell’epoca su cui sono incisi anche
i dialoghi fra un brano e l’altro. Vivo momenti surreali, quasi da
seduta spiritica, quando nel cuore della notte esce all’improvviso dagli
amplificatori la voce di Jimi: 'Eddie, ho la sabbia in gola, me la
porti una birra? Eddie, quanta pazienza devi avere con uno come me?'.
Allora riavvolgo il nastro, alzo il volume e lo riascolto. E non riesco a
trattenere le lacrime".